martedì 30 dicembre 2008

Tre poeti che cavalcavano il duemila.

Questa era l'ultima volta che mi fermavo a pensare. Pensa, pensa. Non facevo altro. Ma mi incartavo spesso. Non trovavo i nessi fra le cose. Forse perché non ce n'erano. Non mi sembrava di poter individuare vie di fuga. Il meccanismo sembrava non presentare difetti. Taceva nel perpetuo movimento di sfornare libri di merda che chissà da dove cazzo li prendeva e si impuntava nel non rispondere ad alcuna richiesta di collaborazione. Quando rispondeva cercava soldi. A volte rispondeva scostante, con grande superbia. Mi chiedevo come avevano fatto gli autori che vedevo nelle vetrine a pubblicare i loro testi. A farsi rispondere dagli editori. A creare un contatto con loro. Sembrava non ci fossero umani dietro gli ingranaggi del meccanismo. Quando c'erano erano fantocci con la testa piena di stronzate. Un umano doveva esserci. Qualcuno da colpire al cuore. Questa era la missione che mi era stata affidata. Non avrei rinunciato finché non l'avrei portata a termine. Dovevo ricominciare dall'inizio. Dovevo acquisire l'esperienza che forse avevo voluto risparmiarmi, saltando la gavetta. Nei concorsi non ci credevo, nelle riviste ci credevo poco. Purtroppo, o per fortuna, continuavo a credere nel grande potere di internet. Trovare una soluzione al mio quesito era quasi tutto il senso della mia esistenza. Quello che mi mancava per considerarmi esattamente ciò che avrei voluto essere nella vita. Non avrei sprecato il tempo che mi rimaneva facendo la vita di un altro per poi pentirmi nel momento del mio decesso. Non era per me. L'ondata delle mejfy che mi aveva investito anni prima si era ormai rilassata col tempo. Lentamente era defluita nell'ultima raccolta Mejfy del dormiveglia preludio ad un sonno forse perpetuo dopo appena cinque anni di esistenza e cinque raccolte che ne avevano racchiuso il senso. Dopo avevo scritto soltanto qualcosa che sembrava una quasi inutile raccolta di poesie ed un'altra cosa per me sperimentale in cui per la prima volta nella mia vita letteraria erano stati costanti schema e rima. Musicalità del verso. Ricerca estetica più che di significato. Avevo tradito colui che aveva partorito il termine Mejfy o poesia vomito. Avevo tradito me stesso. Ma anche quelle ultime due raccolte erano le mie e come a tutto il resto, ci ero ormai affezionato. Il sogno di poter essere una specie di poeta a cavallo del duemila era stato un sogno assurdo. Questo l'avevo sempre saputo, fin da quando avevo otto anni ed avevo iniziato a scrivere cazzate in versi sulla macchina da scrivere olivetti che avevo chiesto per regalo di compleanno. Se quello era stato un gioco, allora lo era stato anche tutto il resto del mio tempo. Purtroppo in questa specie di magia la gente non aveva proprio voglia di credere ed un mondo che si stava sempre più personalizzando e frammentando difficilmente sarebbe uscito fuori dai propri spazi per aderire ad un movimento comune. Anche se fosse stato un movimento davvero speciale. Ci provai lo stesso. Mi piantai in internet. Cercai nuove strade. Trovai Poetika, un sito di poesia. I siti erano per me come le riviste di un tempo. La difficoltà era quella di creare veri consensi, formare una corrente. Le correnti si creano da sole però volevo vedere se avrei potuto aiutarne una a crearsi da sé. Su Poetika come benvenuto alla mia lettera di presentazione in cui elencavo band musicali, film, opere e autori che preferivo, ricevetti il commento di non essere uno che apprezzava la cultura 'alta'. Di essere dozzinale insomma. Di non essere chissà che gran colto. Dunque come potevo presentarmi come poeta? Senza aver neppure pubblicato ancora un testo, già mi davano al cazzo. Qui era in fase di sperimentazione il progetto di creare un movimento letterario. Certo, certo. Dopo tale esaltante accoglienza doveva essere proprio questo il sito giusto.  Risposi colpo sul colpo al personaggio che non mi lasciava pubblicare un testo senza irritanti commenti sullo stile, sul mio vocabolario e su una presunta perfezione linguistica che lui sembrava avesse in quanto laureando in lettere ed io no in quanto laureato in scienze dell'educazione. Mi creai il mio spazio a gomitate e quando fui finalmente in mezzo agli altri mi fermai a guardare dalla loro stessa visuale il campo letterario esteso presente nel sito. Non si muoveva niente. Poi vennero i venti buoni, ma erano lontani tra loro. Sparsi. Ognuno agiva a conto suo. Molti agivano bene, ma nessuno promuoveva nulla per aggregarsi in un vento comune. Creai qualche consenso, commentai un po' di testi buoni, trovai i nessi fra i vari autori, le simmetrie stilistiche e di contenuto. Trovai una corrente disgregata. Cercai di convogliarla in un'unica direzione, ma sembrava che nessuno volesse aderire a qualcosa di comune. Poi venne Siberian. Era un personaggio unico. Forse il primo vero poeta che mi era sembrato di trovare finalmente nella rete. Lessi tutti i suoi testi vecchi e mi stupii di volta in volta nel leggerne i nuovi. Gli scenari che sapeva tessere scrivendo erano disarmanti e l'immensa solitudine che sapeva rappresentare, stagliata in un contesto universale fatto di sfondi perfetti come le grandi opere dell'architettura greca, era quella stessa che tante volte avevo cercato di descrivere io, sempre rincorrendo una meta letteraria che lui riusciva a raggiungere ogni volta ed io raramente.  Avevo trovato un poeta a cavallo del duemila su uno sperduto sito letterario e viveva nella mia stessa condizione di inascoltato.  Ci mettemmo in contatto, scoprimmo diversi punti in comune, nel frattempo lui aveva letto i miei testi e mi confessò di aver pensato di me esattamente quello che io avevo pensato di lui. Quello che scrivevo spesso era quello che avrebbe voluto scrivere lui senza riuscirci. Eravamo una corrente e non lo sapevamo.  Fermi, fermi. Adesso ci eravamo trovati, ci demmo appuntamento sui f o r u m dove avremmo steso la nostra specie di manifesto confrontandoci costantemente. Nel frattempo a noi si era aggiunto un terzo soggetto dallo spirito davvero spregiudicato. Si chiamava Nothing. Un secondo grande poeta dopo Siberian. Scriveva assurdi e lunghissimi testi in versi stesi di getto, la sua caratteristica era la velocità, i suoi testi li leggevi e ti veniva il fiatone. Sembrava di correre. Eppure eri fermo. Ci innamorammo di lui esattamente come lui si innamorò di noi. Lo scambio era costante, ma quando si trattava di teorizzare, di tracciare le linee comuni e di proporre qualcosa di buono, sembrava che le nostre connessioni internet cominciassero ad avere problemi. Ogniqualvolta avessi lanciato una sfida nella mia triste esistenza letteraria avevo trovato gente, anche grande, che aveva deciso a priori di non accettarla. Anche quando sarebbe parso che avesse lo spirito giusto per farlo. Siberian mi comunicò che avrebbe abbandonato il sito per un po' e che quando sarebbe tornato avremmo ripreso da dove ora ci eravamo fermati. Senza di lui, anche Nothing cominciò a mettere passi all'indietro. Prima commentando i miei testi per puro dovere con frasi del genere 'sembra interessante appena posso la leggerò'. Il commento vero e proprio non arrivava più, ma a quel punto non era necessaria neanche la promessa. Poi relegandosi definitivamente nella pubblicazione dei suoi testi e nel commentare con piccole frasi qualsiasi testo gli capitasse a tiro. Nel sito più commentavi e più punti prendevi. Più punti prendevi e più potevi pubblicare. Io gli avevo detto che se mi commentava solo per i punti l'avrei fucilato. I miei testi erano abbastanza lunghi da digerire. Se doveva commentarli doveva leggersi i malloppi. Non mi commentò più. Quest'altra ennesima fantastica stagione letteraria volgeva al termine. Attesi Siberian per settimane e settimane con una mano sotto il mento senza pubblicare più niente. Poi capii che non sarebbe tornato. In fondo se di corrente si trattava, corrente sarebbe stata. Pubblicai il mio testo d'addio. Lo dedicai a Nothing, ma egli non lo commentò neppure. Un commento invece arrivò. Era di quello che mi aveva dato il benvenuto e che aveva attaccato quasi ogni mio testo e quasi ogni nostra mossa su Poetika. Diceva che con la poesia io non c'entravo niente. E questa non era una novità. E che mi mancava la famosa perfezione linguistica. E pensare che lui,  laureando in letteratura e così elevato negli spazi culturali più alti, in uno dei nostri scontri letterari, mi fulminò affermando che conoscenza si scriveva con la i. E vaffanculo si scrive con due effe o senza?                         

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