venerdì 26 dicembre 2008

Un posto dove scrivere non significa più che sbadigliare

Hai presente quando arriva il fatidico momento in cui non sai davvero più che cosa fare? Hai esaurito le risorse. Ami una ragazza ed hai provato a cambiare tutti i tuoi comportamenti. Non hai ottenuto nessun progresso come se quella sia per te una strada chiusa e non dovresti più neanche pensarci. A me mi è capitato nella vita che ogni volta che ho smesso seriamente di pensare a qualcosa che desideravo per davvero, quel qualcosa, come se non attendesse altro, cominciava a materializzarsi sotto i miei occhi. Sai cos'è? E' inevitabile che poi di nuovo riprendi ad interessartici perché sembra che stavolta non ci sia dubbio che lei ci stia. Sembra. Appunto. Forse anche stavolta sarebbe stato così. Però il destino è quantomeno disattento. Se avessi smesso di pensare a quello che scrivevo, dato che non avrei neppure tentato di pubblicare più niente, chi mi avrebbe mai tirato fuori la questione, un giorno? Dall'altra parte continuare a provarci vedendo teste che si voltavano cercando una via di fuga non dava poi il massimo della soddisfazione. Cominciai a sognare i circoli letterari. Leggevo Mallarmé e rimanevo sovrappensiero per ore ad immaginarlo leggere i suoi testi nei caffé parigini mentre una folla intontita da fumo e alcol, ma tesa all'ascolto di quei versi, se ne stava a prestargli attenzione con interesse reciproco. In una cittadina del sud Italia all'inizio del nuovo millenio presentarsi in un pub e cominciare a leggere i propri testi avrebbe fatto pensare che non ci stavi più col cervello. Pensai ai ragazzi dell'attimo fuggente, quelli che si riunivano nelle grotte per leggere i testi proibiti dalla cultura accademica e proporre le loro composizioni. Mmm. Ho già parlato dell'effetto urticante che aveva il tema scrivere sui miei amici? Io ero nel posto sbagliato. Il posto in cui scrivere e leggere non serviva a niente. Il posto in cui la gente viveva senza occuparsi più di dare un significato non pratico alle cose scritte. Ogni tanto qualcuno mi parlava delle cose che aveva letto. Mia moglie si leggeva Ammaniti e Baricco. Qualcuno mi confessava che avrebbe voluto leggere qualcosa di veramente bello, di veramente nuovo. La mia roba si ragnatelizzava nella memoria di vari computer. Il mio. Quello di mio padre. Quello dei miei suoceri. Erano i posti dove avevo scritto. Lì c'era la mia essenza letteraria. E lì sarebbe morta. Adesso non potevo più commettere nessun errore. Parlai alla gente di ciò che aveva letto senza confrontarlo con niente di mio. Lasciai mia moglie leggere Baricco e Ammaniti e le comprai anche altri testi loro mentre cresceva il volume di roba mia che non aveva letto. Diedi a chi mi chiedeva qualcosa di forte il vagabondo delle stelle di Jack London. Un gran libro. Smisi di mettermi a confronto con il mondo letterario, come se non ne avessi mai fatto parte. Neppure da semplice amatore. Scoprii diversi giochi per pc molto interessanti (GTA II, Alice nel paese delle meraviglie in chiave dark, War Craft, Crazy Taxi e altri). Mi scoprii molto interessato a loro. Scoprii diversi film interessanti. Mi scoprii molto interessato a loro. Ed anche se ogni tanto nella mia mente immaginavo evoluzioni letterarie di quelle storie e della poca roba che ancora leggevo, cominciai a passare giornate intere a giocare allo stesso gioco o a guardare sette o otto film di fila. Ogni volta mi fermavo solo a mangiare. Mmm. Questa era la degna alternativa al McCallan, alla macchina da scrivere ed alla finestra sul cortile che avevo sognato un tempo. Nessuno mi cercò più per parecchio. Ed io segretamente, nella mia mente, continuai a scrivere. Tutti dovettero pensare che fossi guarito dalla letteratura. Non era così.      

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